venerdì 7 aprile 2006

Ho ancora un velo di sonno sugli occhi ma mi sento riposato. Disteso sotto le coperte mi godo il tepore del letto e qualche sogno ad occhi aperti. Tutto intorno è silenzio, in lontanzanza, attraverso i doppi vetri, solo il sordo rumore del traffico. Che ore sono?
La sveglia di sicurezza alle nove non ha suonato, tra un po' mi alzo. Le immagini si susseguono rapidamente e ricapitolo l'ultima settimana in un minuto: il concerto di Vinicio, la laurea di Pigliapost, mi devo comprare un nuovo obbiettivo per la macchina fotografica. Che ore sono?
Senza muovermi troppo, tiro fuori un braccio da sotto le coperte e prendo il cellulare. E spento! In un attimo penso: non ha suonato la sveglia, è tardi, devo entrare entro le nove e mezzo. Salto giù dal letto e mi precipito in cucina. Spalanco la porta, sono le sette meno dieci. Cazzo!

Da quando sono un dipendente, cioè da meno di una settimana, ho paura di arrivare in ritardo in ufficio. Non sono abituato ad avere un orario di ingresso, non l'ho mai avuto da quando lavoro.
Sono sempre entrato entro le nove e mezzo, adesso che devo farlo per forza sembra essere diventato più difficile.

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